La materia del rimborso della cessione del quinto spiegata in parole semplici |Parte terza

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In questo articolo, diviso per parti, l’avv. Fabrizio Monopoli spiega in parole semplici la materia relativa al rimborso della cessione del quinto, dando un volto più nitido a una vicenda apparentemente complessa, ma che si sostanzia nella più banale e semplice lotta tra due interessi confliggenti: il potere delle banche per un verso e la tutela del consumatore per altro.

Ci eravamo lasciati qui:

Linee guida, sentenze e direttive

Il dispositivo della Corte dell’11 settembre 2019 è stato reso a conclusione di una serie di riflessioni giuridiche che contemplano anche i rischi relativi ad una diversa interpretazione che lasci spazio ad una distinzione dei costi.

Ed invero, la Corte afferma, in buona sostanza, che se si assecondasse l’idea di una diversa natura giuridica dei costi applicati al consumatore, le banche, in quanto parte forte nel rapporto contrattuale, potrebbero ridurre al minimo i costi soggetti al rimborso e imporre per le commissioni non soggette a restituzione degli importi molto più alti. In tal modo, si violerebbe l’art. 22 paragrafo 3, della direttiva 2008/48 che obbliga gli Stati membri a provvedere affinché le disposizioni da essi adottate per l’attuazione di tale direttiva non possano essere eluse attraverso particolari formulazioni dei contratti.

La Corte, tuttavia, non si esprime sul criterio di calcolo da applicare alla riduzione del costo, limitandosi a rilevare l’opportunità di ricorrere ad un calcolo proporzionale. Orbene, qualcuno potrà pensare che a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza le banche si siano allineate e abbiano deciso di adeguarsi al precetto europeo che, si badi, non afferma nulla di nuovo bensì cristallizza l’esatta interpretazione alla quale gli Stati membri devono attenersi.

Tutt’altro. Eppure, dopo l’11 settembre 2019, Banca d’Italia, l’organo di vigilanza degli intermediari finanziari, ha adottato le Linee Guida n. 1463869 del 4 dicembre 2019, con le quali ha disposto che “Nel caso in cui il cliente eserciti il diritto al rimborso anticipato di finanziamenti in essere, gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte” e ha altresì invitato tutte le banche nazionali ad adeguarsi immediatamente alla corretta interpretazione della norma restituendo tutti i costi sostenuti dal cliente per come ritenuto dalla sentenza della Corte di Giustizia UE.

In seguito, anche il Collegio di Coordinamento dell’ABF nella Decisione n. 2625/2019 del 11.12.2019 ha accolto il principio della Corte ribadendo che l’art. 125 sexies T.U.B. deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front ed è immediatamente applicabile ai ricorsi non ancora decisi.

Tuttavia, nonostante le indicazioni emanate dall’organo che dovrebbe vigilare sul comportamento delle banche e degli intermediari, si è assistiti ad una sorta di “cartello” tra gli istituti che, in gran numero, hanno deciso di non aderire al principio della Corte né tantomeno alle decisioni dell’ABF.

Le banche eccepiscono che la sentenza della CGUE non abbia efficacia vincolante e non sia direttamente applicabile nel nostro ordinamento, come se il principio del primato del diritto comunitario non fosse un cardine normativo di riferimento costituzionale, ma al più un feticcio ideologico di cui discutere con un whiskey in mano dinanzi al camino acceso. Senonché i Tribunali italiani, a un anno dalla pubblicazione della sentenza della Corte, hanno fornito risposte ben precise alle deboli motivazioni sostenute dalle banche in sede giudiziale.

In dettaglio, secondo i Tribunali di Torino e Savona (Trib. Torino del 21.03.2020, Trib, Savona del 17.11.2020) l’argomento dei limiti dell’efficacia diretta orizzontale della direttiva è inconcludente.

  • Secondo il ragionamento del Tribunale di Torino, è vero che una direttiva non può porre obblighi a carico di un singolo nondimeno la direttiva 48/2008 è stata trasposta nel diritto nazionale con il richiamato d.lgs. 13.08.2010, n. 141, ed è dunque la norma interna (l’art. 125 sexies) ad essere fonte dei diritti e obblighi delle parti e metro di giudizio della legalità delle clausole contrattuali. Sicché l’art. 125 sexies deve interpretarsi in conformità alla dir. 48/2008 come interpretata dalla sentenza Lexitor.
  • Il Tribunale di Savona rimarca inoltre che “l’obbligo di interpretazione conforme è un corollario del principio di leale collaborazione e, in particolare, dell’obbligo degli stati membri di adottare ogni misura di carattere generale atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi   derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione (art. 4, par. 3 Trattato UE)”. “Destinatari di quest’obbligo sono tutti gli organi degli stati membri ivi compresi quelli giurisdizionali. Ne consegue che nell’applicare il diritto nazionale, e in particolare la legge nazionale espressamente adottata per l’attuazione della direttiva, il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto interno alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde conseguire il risultato”.

Ma c’è di più.

La banca Santander è stata condannata, nel mese di settembre, dal Tribunale di Torino che ha accolto il ricorso presentato dal Movimento Consumatori. In quella occasione è stata accertata la nullità delle clausole contrattuali utilizzate in Italia da Santander fino al mese di aprile 2020 che regolano l’estinzione anticipata dei contratti di credito con i consumatori prevedendo la non rimborsabilità di tutti i costi sostenuti.

Il Tribunale di Milano, con tre ordinanze gemelle del 3 novembre 2020, ha accertato la nullità delle clausole contrattuali utilizzate da Compass, Futuro e Agos fino ad aprile 2020 ed ha ordinato la pubblicazione del dispositivo sul Corriere della Sera, Il Mattino, Il Messaggero, Il Sole 24 ore.

E quasi quotidianamente emergono decisioni giudiziali, dai Giudici di Pace ai Tribunali, con le quali gli istituti vengono condannati a rifondere quanto dovuto.

Ma tutto ciò evidentemente non è sufficiente. Per mantenere in tutti modi lo status quo, le banche sono pronte davvero a tutto, dal rinnegare principi di diritto comunitario e costituzionale sino ad arrivare a citare in giudizio il proprio cliente reo di essersi permesso di chiedere, stragiudizialmente, il rimborso di quanto dovuto.

Quest’ultimo è il caso di alcuni istituti bancari, tra cui IBL, Banca Nuova Terra (ex Prestinuova) e Dynamica retail, che per silenziare le richieste dei consumatori hanno addirittura citato gli stessi dinanzi ai tribunali.

In altri termini, un ex cliente della finanziaria Dynamica Retail che ha avuto “l’ardire” di trasmettere la richiesta di restituzione degli oneri non goduti, si è visto notificare dalla banca un atto di citazione diretto all’accertamento negativo del diritto.

Questo da un punto di vista formale, poiché nella sostanza le banche agiscono mosse dal sentimento racchiuso nella locuzione “Unum castigabis, centum emendabis” o, nella versione utilizzata da Mao Zedong, “colpirne uno per educarne cento”.

In tal modo la banca porta in tribunale un proprio cliente affinché sia da esempio nei confronti di tutti gli altri che ci penseranno prima di provare a richiedere il rimborso dovuto.

Questa è la policy che stanno seguendo numerosi istituti!

Tuttavia, vi sono altri intermediari, tra cui Fiditalia, Credem, Unicredit, Barclays Bank, che, senza la necessita di agire in giudizio, provvedono al rimborso dei costi subito dopo la ricezione del reclamo.

Altri invece, tra cui Banca Popolare Pugliese, ViviBanca, Intesa, Italcredi, Compass, Santander e Ibl non accolgono alcun rimborso, salvo negare il diritto e contestualmente avanzare (è il caso di IBL) proposte transattive offrendo un decimo di quanto dovuto, né tantomeno rispettano le decisioni dell’ABF.

Conclusioni. Un anno dopo la sentenza Lexitor

In conclusione, dopo più di un anno dalla sentenza Lexitor, possiamo ritenere che gli effetti sino ad ora prodotti possono essere così sintetizzati:

  • il principio enucleato dalla Corte di Giustizia Europa con la sentenza Lexitor deve essere applicato in tutti i paesi dell’Unione e le banche sono per legge obbligate a rimborsare la quota parte di tutti i costi sostenuti in caso di anticipata estinzione;
  • ciononostante, le banche non rispettano la pronuncia della Corte e hanno delegittimato anche il loro organo di vigilanza, Banca d’Italia, le cui decisioni e disposizioni sono completamente disattese;
  • l’istituto dell’Arbitro Bancario Finanziario, con riferimento al contenzioso derivante dalle operazioni di cessione del quinto, si sta rivelando assolutamente inefficiente posto che le sue decisioni non vengono rispettate dagli intermediari;
  • in attesa di un intervento deciso da parte di Bankitalia nei confronti delle finanziarie e banche, la strada del giudizio civile è l’unica via per ottenere il rimborso dovuto.

La prassi di procedere al rimborso potrà consolidarsi solo se Bankitalia, che ha un’enorme responsabilità sul tema, saprà dimostrare di essere un organo autorevole e in grado di far rispettare le regole dal sistema bancario, attitudine questa sino ad ora nascosta. Diversamente, sarà necessario ancora del tempo e la situazione si sbloccherà solo con una pronuncia da parte della Corte di Cassazione che fughi ogni dubbio circa l’obbligo di rimborso. Ma sino ad allora le banche avranno evitato tanti, ma proprio tanti rimborsi…

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