La Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente sulla questione relativa alla prova del contratto di cessione del credito cartolarizzato, ribadendo che l’avviso in Gazzetta Ufficiale non è idoneo a provare il contratto di cessione, riguardando solo il requisito della notificazione della cessione al debitore ceduto.
In questa vicenda, la cessionaria, per giustificare la propria legittimazione a intervenire per subentro nella titolarità del credito, avrebbe dovuto non solo dichiarare, ma anche fornire prova di tale circostanza. La mancanza di questa prova, attinente alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase di impugnazione, è rilevabile d’ufficio. Più specificamente, la società in questione ha affermato di aver depositato, insieme al controricorso, “l’avviso di cessione di crediti pro soluto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale”, considerandolo idoneo a dimostrare la cessione ai sensi degli artt. 1 e 4 l. n. 130/1999 e 58 TUB. Tuttavia, così facendo, ha confuso il requisito della “notificazione” della cessione al debitore ceduto, necessaria per l’efficacia della cessione stessa nei confronti del debitore e per evitare che un eventuale pagamento effettuato a favore del cedente abbia effetto liberatorio, con la prova della reale stipulazione del contratto di cessione e, quindi, del concreto trasferimento della titolarità del credito. Questa prova è necessaria per dimostrare la reale legittimazione sostanziale a esigere il credito da parte del cessionario, soprattutto quando tale qualità è contestata dal debitore ceduto, come accaduto in questo caso.
Ne consegue che la cessionaria, pur avendo l’onere di dimostrare la propria qualità di successore a titolo particolare sin dal deposito del controricorso, non ha fornito adeguata prova del contratto di cessione dei crediti in suo favore. La documentazione prodotta, infatti, riguarda solo il requisito della “notificazione” della cessione al debitore ceduto e non prova l’effettiva stipulazione del contratto di cessione e il concreto trasferimento della titolarità del credito.
Questa mancanza di prova, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, non è stata colmata da una condotta processuale dei ricorrenti che riconosca o presenti difese incompatibili con la negazione della legittimazione della cessionaria. Anzi, i ricorrenti hanno espressamente contestato la legittimazione a intervenire della cessionaria, non avendo quest’ultima dimostrato il contratto di cessione dei crediti in forza del quale ha dichiarato di essere titolare del rapporto o del credito controverso.
Infine, neppure il controricorso della cessionaria ha fornito “elementi utili” per verificare l’esistenza di una prova presuntiva della cessione e dell’inclusione dello specifico credito oggetto del procedimento nel “blocco” dei rapporti ceduti. Pertanto, in assenza della concreta dimostrazione di tale cessione e della titolarità del rapporto controverso da parte della società cessionaria, l’intervento deve ritenersi inammissibile.
Ciò rappresenta una ulteriore pronuncia che consenta una difesa più resistente per i consumatori molto spesso aggrediti dalle società di recupero crediti, che hanno acquistato pacchetti di crediti ma che tuttavia non sono in grado di provare la cessione del contratto e, pertanto, non sono legittimati ad agire.
Qui l’ordinanza