Buoni fruttiferi postali dopo 1 luglio del 1986: il consumatore ha diritto ad ulteriori rendimenti rispetto a quelli liquidati da Poste Italiane.
Poste Italiane da anni è al centro di numerose discussioni per il mancato riconoscimento ai risparmiatori, possessori di buoni fruttiferi postali, alla scadenza degli stessi, dei tassi di rendimento previsti sul retro del titolo posseduto, attuando una politica di rimborso diversa rispetto a quanto previsto su ogni titolo.
Tutto questo lo fa nonostante non abbia mai inviato alcuna comunicazione al risparmiatore sul cambiamento di rendimento dei titoli rispetto alle condizioni di partenza sottoscritte.
Per questo è in corso un acceso dibattito e persino anche un vivace contezioso tra Poste Italiane e i sottoscrittori di buoni fruttiferi postali trentennali emessi tra il 13 giugno del 1986 e il 1999.
I buoni oggetto di contrasto sono quelli dell’originaria serie “P” che sono stati trasformati nella Serie “Q/P” per effetto del Decreto Ministeriale del 13.06.1986 (il c.d Decreto Gava Goria), che prevedeva una modifica al ribasso dei saggi di interessi dei BFP e che ha portato Poste a liquidare ai risparmiatori alla scadenza dei 30 anni, somme inferiori, alle volte dimezzate, rispetto a quelle previste sul retro degli stessi.
La trasformazione come sarebbe dovuta avvenire? L’art. 5, ultimo comma, del decreto ministeriale ha stabilito che sui Buoni della serie “P” emessi dal 1° luglio 1986 “verranno apposti…due timbri uno sulla parte anteriore con la dicitura serie Q/P, l’altro sulla parte posteriore recante la misura dei nuovi tassi”.
A seguito dell’entrata in vigore di tale decreto Poste, invece di emettere buoni della serie Q, per un po’ di tempo avrebbe potuto utilizzare, per l’emissione dei titoli, la modulistica delle serie precedenti O e P che prevedevano tassi superiori rispetto alla serie Q. Requisito fondamentale per la modifica però, secondo quanto stabilito dal Dm, era l’apposizione di un timbro sul fronte e uno sul retro.
Ed è proprio questo il motivo della contesa. Difatti, talvolta Poste ha omesso completamente l’apposizione del doppio timbro “P-Q” mentre in altri casi ha omesso di apporre la griglia con tutti i nuovi rendimenti della serie Q per tutti i trent’anni.
In diverse situazioni, il timbro apposto sulla parte posteriore dei buoni indica esclusivamente le rendite fino al ventesimo anno, lasciando inalterato l’importo fisso a bimestre che era originariamente stampigliato sul buono stesso per il periodo relativo agli ultimi dieci anni.
Malgrado tali omissioni Poste ritiene che devono ritenersi applicabili i tassi di interessi previsti dal DM per tale periodo, rifiutandosi di liquidare la differenza richiesta dagli investitori. Ma così non è poiché se il buono è stato sottoscritto successivamente all’entrata in vigore del citato DM, la liquidazione degli ultimi anni dovrebbe avvenire secondo quanto previsto nel buono stesso e non secondo il citato DM, con una notevole differenza in termini di liquidazione, sulla scorta anche di quanto deciso dalle Sezioni Unite con Sentenza n. 13979/2007. Difatti, la Corte di Cassazione ha affermato il diritto dei risparmiatori al riconoscimento dei rendimenti riportati sui BFP così come sottoscritti poiché il vincolo contrattuale tra il soggetto emittente e il sottoscrittore dei titoli è destinato a formarsi proprio in base ai dati inseriti nel testo dei buoni di volta in volta sottoscritti.
Dunque, anche secondo la Suprema Corte, è ragionevole ritenere che nell’investitore possa essersi ingenerato un legittimo affidamento sulla validità dei tassi di interesse riportati sul titolo e che tale affidamento debba essere tutelato.
A ciò si aggiunga che vi sono molteplici pronunce favorevoli agli investitori tra cui quella del Tribunale di Genova che, con Ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 16 Aprile 2021, con una solida motivazione, ha stabilito che “va senz’altro confermato il principio di diritto secondo il quale le diciture che figuravano sui buoni postali fruttiferi consegnati ai sottoscrittori, con cui veniva specificato il regime degli interessi, dovevano ritenersi prevalenti sulle determinazioni difformi contenute in un decreto ministeriale precedente alla loro emanazione giacché, per tale ipotesi, è la stessa disposizione imperativa di cui all’art. 173 codice postale ad escludere l’eterointegrazione ex art. 1339 del contratto dando preferenza al testo negoziale riportato sul buono”.
Ciononostante, Poste Italiane non provvede al rimborso degli ulteriori rendimenti maturati e, pertanto, l’unica via per i risparmiatori è quella di adire il Giudice ordinario per vedersi riconosciuti i maggiori importi.
Articolo della Dott.ssa Antonella Grassi