Pronuncia di addebito della separazione nei confronti del coniuge che si proclama “single” su Facebook. Ha fatto discutere la sentenza 6/2021 emessa dal presidente Pietro Viola del Tribunale di Palmi (Reggio Calabria). Cerchiamo di ricostruire la vicenda.
La moglie aveva avviato causa di separazione nel 2016, adducendo una serie di circostanze che dimostravano il venir meno dell’affectio maritalis del coniuge: tra queste, eccessivo utilizzo del cellulare, disinteresse, assenza di casa anche nelle ore notturne. In tema di infedeltà coniugale, il giudice fa riferimento alla sentenza della Corte di Cassazione n.21657 del 19 settembre 2017, secondo cui i giudizi di separazione per colpa non rilevano solo le relazioni extraconiugali in senso stretto, ma anche quei comportamenti che possano giustificare da soli la lesione della dignità e dell’onore dell’altro coniuge.
Viene inoltre sottolineato che, secondo la giurisprudenza, l’obbligo di fedeltà deve intendersi caratterizzato non solo dall’astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma anche come impegno ricadente su ciascun coniuge di non tradire la fiducia reciproca ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi che dura quanto dura il matrimonio. È stato dunque ritenuto che, sulla base della valutazione complessiva degli elementi acquisiti, l’addebito di responsabilità della separazione sia da ricondurre all’uomo.
Incisiva anche la precisazione dello status di “single” sul famoso social network. Secondo quanto riportato in sentenza, «le indicazioni contenute sul profilo Facebook dell’uomo, pur non essendo completamente prova di un rapporto extraconiugale, costituiscono tuttavia un atteggiamento lesivo della dignità del partner proprio nella misura in cui pubblicamente è sin troppo palesemente rappresentano a terzi estranei un modo di essere o uno stato d’animo incompatibile con un leale rapporto di coniugio».
Una causa lunga quattro anni, una lunga e complessa istruttoria che, pur essendo basata su fatti e circostanze rilevate e provate dai difensori, spicca proprio per l’attenzione che il giudice ha riservato all’informazione personale che l’uomo ha pubblicato su Facebook.
Qui la sentenza: