Quando parliamo di crac finanziari, diventa piuttosto scontato far riferimento alla più imponente crisi che si è abbattuta sui risparmiatori della Banca Popolare di Bari, che ha visto andare in fumo i risparmi di una vita di tanti azionisti.
Negli ultimi anni abbiamo assistito, e spesso siamo stati vittime, di crac finanziari diventati nel nostro Paese un appuntamento ciclico. Ogni 4-5 anni, infatti, dobbiamo fare i conti con gestioni fallimentari che causano enormi perdite per i risparmiatori.
Proviamo a dare un po’ di numeri: a partire dagli anni 2000 oltre 1,3 milioni di risparmiatori italiani hanno visto andare in fumo complessivamente più di 45,4 miliardi di euro investiti in azioni, obbligazioni e titoli vari, con una perdita media di 34.427 euro a risparmiatore.
Basti ricordare i casi Bipop-Carire, Argentina e Cirio che, tra il 2001 e il 2002, hanno coinvolto complessivamente più di 500mila risparmiatori italiani, passando per gli scandali Parmalat (2003, 110mila investitori) e Lehman Brothers (2008, 100mila investitori), fino ad arrivare ai più recenti Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza (2016, oltre 206mila investitori coinvolti).
Arriviamo dunque alla Banca Popolare di Bari tra le dieci maggiori banche popolari italiane: negli ultimi anni è stata fortemente attenzionata per gravi problemi di gestione e di trasparenza delle proprie finanze, alcuni anche di rilevanza penale per i quali ha preso avvio il processo penale per false comunicazioni e falso in bilancio nei confronti degli ex dirigenti.
BPB: cosa è accaduto?
È accaduto che a causa di una gestione opaca, se non proprio scorretta, la banca ha indotto i propri clienti ad acquistare “titoli illiquidi” ossia, azioni di banche che non essendo quotate sui mercati regolamentati, hanno difficoltà di smobilizzo, cioè azioni che hanno un valore virtuale ma che nessuno comprerebbe mai.
La legge prevede che nel caso di collocamento o negoziazione di titoli azionari, non quotati su mercati regolamentati o considerati equivalenti dalla disciplina MIFID, l’intermediario è tenuto a rispettare i più stringenti e specifici obblighi informativi imposti dalla Comunicazione. Invece, la Popolare:
- spesso non ha fatto sottoscrivere tutta la documentazione necessaria;
- non ha dato, al momento della sottoscrizione, informazioni importanti quali quelle sulla natura illiquida dei prodotti;
- ha violato gli obblighi gravanti tanto quale emittente tanto quale intermediario dei prodotti, così chi deteneva azioni per un valore di 9,53 euro si è trovato, nel corso di pochi anni, un portafoglio di azioni del valore di 3 euro, anch’esso virtuale perché comunque non c’era nessuno a cui venderle.
Senza soffermarsi su tutti i passaggi tecnici che hanno caratterizzato questi anni, è sufficiente sapere che a partire dal 2015 la banca si è trovata ad avere un’ingente quantità di ordini di vendita che tuttavia non riusciva ad evadere. Ad aprile 2016 risultò necessario svalutare il titolo azionario del 21%, giungendo ad un prezzo di euro 7,50.
Così, a un certo punto, a fine 2016 la banca decise di immaginare un mercato possibile per lo smobilizzo e di trasferire le negoziazioni su una piazza, che non è il mercato ufficiale di Borsa – si chiama HI-MTF – dove vige un meccanismo molto particolare di gestione del prezzo. Ovvero, il prezzo di negoziazione non funziona come a Piazza Affari, dove si riscontrano una domanda, una offerta, incrocio domanda e offerta, ragion per cui qualunque sia il prezzo, quello è il prezzo di transazione.
Il mercato non regolamentato nel quale sono trattate le azioni della Banca Popolare aveva un’enorme problema: non c’erano transazioni, quindi il prezzo base era deciso non dal mercato bensì dall’assemblea, peraltro con criteri molto discutibili, pertanto era solo virtuale e non effettivo perché non c’era nessuno disposto a comprarle. E arriviamo così al 2017 quando è stato scoperchiato “il vaso di pandora” ed è stato dato avvio all’indagine penale nei confronti degli ex vertici e al commissariamento con la successiva trasformazione in Spa.
Chi sono i risparmiatori truffati e quali prospettive?
Sappiamo che le banche popolari si caratterizzano per essere istituti di prossimità, vicine alle famiglie e ai risparmiatori e grazie a questo rapporto privilegiato sono state vendute azioni non ad investitori professionali bensì a gente che aveva un gruzzoletto, spesso il risultato di una vita di lavoro, con l’ambizione di ottenere una piccola rendita e non di sottoscrivere azioni ad alto rischio come è accaduto.
Quali sono le prospettive?
Come noto nel mese di luglio la banca ha proposto un risarcimento pari al 30 % ai risparmiatori che avessero sottoscritto aumenti di capitale nel 2014-2015, e tuttavia ci sono ancora tantissimi di loro che hanno la concreta paura di non poter recuperare le somme investite.
Tuttavia, oltre il danno è spuntata la beffa: nel contempo tanti risparmiatori hanno avviato contenziosi nei confronti della banca, sia in sede stragiudiziale e sia in sede giudiziale.
Esiste infatti l’Arbitro per controversie finanziarie, strumento di risoluzione delle controversie tra investitori e intermediari per la violazione degli obblighi in materia di servizi di investimento. È una procedura snella ed economica ma, poiché le decisioni non sono vincolanti alla pari di una decisione del giudice, la Popolare nonostante centinaia di condanne subite, non ha mai adempiuto a nessuna decisione.
Alla data del 12.04.2021 risultano esserci ben 391 inadempimenti.
Ecco perché c’è chi ha rinunciato e chi ha dovuto, e potuto, visti anche i costi necessari per un procedimento civile magari per svariate decine di migliaia di euro, adire il Giudice.
La sentenza del Tribunale di Bari
È di qualche giorno fa la notizia della sentenza del Tribunale di Bari (15 aprile 2021) che ha pronunciato la risoluzione degli ordini di acquisto delle azioni vendute dalla banca nella duplice veste di emittente ed intermediario, sul presupposto del grave inadempimento degli obblighi di condotta nella prestazione di servizi di investimento. Così il Tribunale ha riconosciuto il diritto dell’investitore all’integrale restituzione del capitale investito, pari a 120 mila euro, a favore di un’azionista assistito dall’avv. Antonio Pinto di Bari.
Il Tribunale ha escluso che la banca non abbia operato la valutazione di adeguatezza dell’investimento, stante:
- la notoria rischiosità dell’investimento azionario;
- l’età avanzata dell’investitore;
- la mancata diversificazione dell’investimento, concentrato su un unico titolo azionario;
- la mancata emergenza di consistenti risorse, tali da giustificare l’esclusività della scelta, senza compromissione del patrimonio dell’investitore.
Tenuto quindi conto dell’età, dell’omessa documentazione di pregressi e importanti investimenti speculativi, della mancata emersione di consistenti risorse o patrimoni, tali da far ritenere sostenibile il rischio connesso all’investimento azionario, senza compromissione dei risparmi, la concentrazione degli investimenti del sul medesimo titolo, non quotato sui mercati regolamentati, con rischio di liquidità, integrava operazione non adeguata per l’investitore.
La mancata segnalazione di tale circostanza costituisce inadempimento grave agli obblighi informativi gravanti sull’intermediario.
Questa decisione apre, dunque, uno spiraglio per i tanti risparmiatori traditi non solo rispetto a un orientamento giudiziale ma anche nella prospettiva di un serio confronto che la Popolare possa avviare in sede stragiudiziale.
Qui la sentenza del Tribunale di Bari >>