Come noto, il tema delle azioni illiquide della Banca Popolare di Bari ha rappresentato uno dei recenti e grandi scandali nel settore bancario italiano a scapito di migliaia di risparmiatori inconsapevoli. Questi ultimi sono stati indotti dalla banca ad acquistare “titoli illiquidi”, ossia azioni che, non essendo quotate sui mercati regolamentati, presentavano gravi difficoltà di smobilizzo. Si trattava di azioni con un valore sostanzialmente virtuale, che nessuno sarebbe stato disposto ad acquistare sul mercato.
In seguito alle prime avvisaglie di una difficile situazione di bilancio dell’istituto bancario, a partire dal 2015, la banca ha iniziato a ricevere un’enorme quantità di ordini di vendita che, tuttavia, non riusciva a evadere, aggravando ulteriormente la situazione dei risparmiatori. Ad aprile 2016, la banca si è trovata costretta a svalutare il titolo azionario del 21%, portando il suo prezzo a 7,50 euro.
Verso la fine del 2016, nel tentativo di facilitare lo smobilizzo delle azioni e risolvere la crisi di liquidità, la banca ha deciso di spostare le negoziazioni su una piattaforma alternativa al mercato ufficiale di Borsa – la HI-MTF. Questa piattaforma, però, presentava un meccanismo di gestione del prezzo molto particolare. A differenza di Piazza Affari, dove il prezzo di negoziazione è determinato dall’incrocio tra domanda e offerta, nel mercato HI-MTF il prezzo veniva stabilito non dalle dinamiche di mercato, ma dall’assemblea, seguendo criteri spesso discutibili. Di conseguenza, il prezzo risultava essere solo virtuale e non effettivo, poiché non vi erano acquirenti disposti a comprare tali azioni.
Arriviamo così al 2017, quando la situazione ha raggiunto un punto di svolta. Le difficoltà e le irregolarità nella gestione delle azioni illiquide sono emerse in modo più evidente, portando a una serie di denunce e all’apertura di un’indagine penale nei confronti degli ex vertici della banca. Questa inchiesta ha rivelato le pratiche scorrette adottate dalla dirigenza dell’istituto, culminando nel commissariamento della Banca Popolare di Bari e nella sua successiva trasformazione in una società per azioni (Spa).
Negli anni successivi sono stati numerosi i procedimenti civili avviati dinanzi ai Tribunali italiani, da parte di investitori inconsapevoli che avevano perso quasi integralmente il capitale investito.
Si sono così susseguite diverse pronunce che hanno sancito l’inadempimento della banca e disposto la restituzione del capitale investito.
Per ultima, il Tribunale di Bari, con sentenza del 13 giugno 2024, nell’ambito di un procedimento avviato da un investitore assistito dagli avv.ti Rosario Beninato e Donato De Leonardis, avverso la Banca Popolare di Bari, ha sancito una serie di importanti principi in materia di vendita e collocamento di azioni c.d. illiquide, condannando l’istituto bancario alla restituzione del capitale investito.
In dettaglio, l’attore aveva citato l’istituto bancario contestando una serie di irregolarità compiute dalla banca ed ha richiesto la restituzione del capitale investito nelle azioni collocate dal medesimo istituto le quali, come noto, hanno subito perdite significative.
In primis, L’attore aveva contestato una serie di inadempimenti tra cui:
- la validità del contratto quadro, sottoscritto solo nel 2016, pur risalendo i primi investimenti all’anno 2008, in violazione pertanto dell’art. 23 del TUF;
- la violazione da parte della banca degli obblighi informativi di cui agli artt. 39, 40, 41 e 42 del Regolamento Consob n. 16190/2007, non avendo la banca informato l’attore né sulle reali caratteristiche dei titoli venduti, né sui rischi agli stessi connessi;
- l’omessa informazione in relazione al proprio conflitto di interessi, trattandosi di titoli emessi dalla stessa Banca;
- L’inadeguatezza dei titoli rispetto al profilo di rischio dell’attore, che avrebbe richiesto investimenti finalizzati al mantenimento del capitale investito;
- L’omessa acquisizione di tutte le informazioni necessarie ai fini dell’investimento, sia in relazione all’esperienza e conoscenza, sia in relazione agli obiettivi di investimento, con l’effetto di aver attribuito all’investitore un profilo di rischio medio-alto, attraverso dichiarazioni “non veritiere”, in quanto non coerenti con la sua caratteristica di risparmiatore con scarsa avversione al rischio;
- la violazione dell’art. 21 TUF, degli artt. 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998, dell’art. 56 Regolamento Consob n. 16190/2007, nonché della comunicazione Consob n. 9019104, con conseguente violazione degli obblighi di buona fede e correttezza;
- la violazione dell’ordine cronologico delle operazioni di vendita dei titoli considerato che la banca non aveva dato corso agli ordini di vendita impartiti dall’attore, pur avendo adempiuto ad ordini successivi emanati da altri clienti.
La Banca, in sede di costituzione, chiedeva l’integrale rigetto della domanda attorea e, preliminarmente, eccepiva la prescrizione dei crediti risarcitori e restitutori e delle azioni proposte, quanto meno in relazione agli investimenti effettuati nel periodo 2008-2009.
Il Tribunale, ha ritenuto infondata la dedotta nullità del contratto, atteso che come accertato dalla CTU, l’attore aveva regolarmente sottoscritto un primo contratto quadro in data 24.05.2007, con specifica sottoscrizione di avvenuta consegna di copia dello stesso, e un contratto quadro in data 26.11.2014, anche questo riportante attestazione di avvenuta consegna di copia e della documentazione allegata.
In tema di prescrizione, il Tribunale ha rigettato l’eccezione sollevata dalla parte convenuta. Richiamando l’orientamento espresso dalla Giurisprudenza di legittimità “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla data del fatto, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì da quando ricorrano i presupposti di sufficiente certezza, in capo all’avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi dal medesimo conosciuti e conoscibili” (v. Cass. Civ. n. 21255/2013 e v. anche Cass. Civ. n. 11119/2013 e da ultimo Cass. 2066/2023).
Tale data può farsi coincidere: 1) con la pubblicazione, avvenuta il giorno 8.10.2018, delle prime delibere sanzionatorie n. 20583 e n. 20584, emesse dalla Consob, la quale ha rivelato la violazione da parte della Banca di tutta una serie di obblighi informativi in relazione alla determinazione del prezzo dell’azione; 2) ovvero, con il 31.12.2015, ossia quando veniva indicato, per la prima volta, nell’estratto conto del dossier titoli al 31.12.2015 il livello di rischio reale dell’azione come medio-alto e la sua illiquidità.
Nella specie, in primo luogo, trattandosi di responsabilità contrattuale, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale e, afferma il Tribunale, seppur si volesse inquadrare la fattispecie in quella di responsabilità extracontrattuale e/o responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. della Banca, comunque nessun diritto potrebbe considerarsi prescritto, atteso che, anche per gli investimenti effettuati dall’investitore nel periodo 2008-2009, dal dies a quo, come in precedenza individuato, alla data di notifica dell’atto di citazione (24.06.2020) nessuna prescrizione si è verificata, considerando quale valido atto interruttivo la raccomandata a/r del 25.07.2018 con cui l’odierno attore muoveva contestazioni all’odierna convenuta in relazione al dossier titoli oggetto della presente controversia.
Nel merito, la domanda dell’attore è stata ritenuta fondata e, per quanto di ragione, accolta dal Tribunale. La questione si inquadra nel contesto normativo del Testo Unico della Finanza (D.Lgs. n. 58 del 1998, noto come TUF) e del Regolamento Consob n. 11522/1998, che regolamentano i rapporti tra intermediari finanziari e clienti. L’art. 21 del TUF impone agli intermediari finanziari l’obbligo di operare con diligenza, correttezza e trasparenza, salvaguardando in ogni momento gli interessi del cliente. Questo obbligo si estende alla necessità di informare il cliente in modo completo e preciso sui rischi associati agli strumenti finanziari proposti, oltre a valutare la loro adeguatezza rispetto al profilo del cliente.
In particolare, la normativa prevede che l’intermediario debba raccogliere tutte le informazioni necessarie sul cliente per definirne il profilo di rischio, attraverso strumenti come il questionario di profilatura previsto dal Regolamento Consob n. 16190/2007. Questo processo di profilatura permette di valutare la situazione finanziaria del cliente, la sua propensione al rischio e i suoi obiettivi di investimento, con l’obiettivo di proporre prodotti finanziari adeguati alle sue caratteristiche.
Il Regolamento Consob n. 16190/2007, emanato in attuazione della direttiva MiFID, introduce ulteriori obblighi per gli intermediari, tra cui la necessità di assicurarsi che le operazioni effettuate siano appropriate e, quando necessario, di avvertire il cliente se un’operazione è ritenuta non adeguata. In tal caso, l’intermediario può procedere solo se il cliente rilascia un ordine scritto che confermi di essere stato adeguatamente informato dei rischi, come sancito dalla giurisprudenza della Cassazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5089 del 15/03/2016).
Nel caso in esame, è emerso che la banca convenuta non ha rispettato questi obblighi informativi, come evidenziato dalla Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU). La banca ha omesso di fornire al cliente le informazioni necessarie sui rischi associati agli investimenti in titoli illiquidi e ad alto rischio, come richiesto dall’art. 21 del TUF e dall’art. 31 del Regolamento Consob n. 16190/2007. Inoltre, la documentazione raccolta dalla CTU ha rivelato che la banca non ha adeguatamente documentato il processo di profilatura del cliente, con gravi lacune nella raccolta e nell’aggiornamento delle informazioni relative alla sua situazione finanziaria, alla sua esperienza e conoscenza dei prodotti finanziari, e ai suoi obiettivi di investimento.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha più volte ribadito che, in materia di intermediazione finanziaria, il riparto dell’onere della prova nei giudizi di risarcimento del danno segue quanto disposto dall’art. 23, comma 6 del TUF. Tale norma stabilisce che spetta all’intermediario provare di aver agito con la diligenza richiesta e di aver adempiuto agli obblighi informativi previsti. In particolare, la Corte ha chiarito che l’intermediario non può ritenersi esonerato da tale obbligo dimostrando genericamente la propensione al rischio del cliente, ma deve fornire prove concrete di aver fornito informazioni dettagliate e specifiche relative ai singoli prodotti di investimento (cfr. Cass. ordinanza n. 15709/2019).
Inoltre, l’orientamento consolidato della giurisprudenza (cfr. Cass. SSUU n. 26724/2007; Cass. Sez. III, n. 15099/2021) esclude che la violazione degli obblighi di comportamento da parte dell’intermediario possa determinare la nullità del contratto quadro o dei singoli ordini di investimento, a meno che non vi sia una specifica previsione normativa in tal senso. Tuttavia, tali violazioni possono dar luogo a responsabilità contrattuale, con conseguente risoluzione del contratto e risarcimento dei danni.
Nel caso concreto, la CTU ha confermato che la banca ha gravemente inadempiuto ai propri obblighi informativi, sia nella fase precontrattuale che in quella esecutiva, omettendo di fornire al cliente informazioni cruciali sui rischi connessi ai titoli offerti. Questi titoli, classificati come ad alto rischio e illiquidi, non erano coerenti con il profilo di rischio del cliente, il quale aveva una bassa propensione al rischio e obiettivi di investimento volti alla protezione del capitale.
Questa condotta ha integrato un grave inadempimento da parte della banca, giustificando così la risoluzione del contratto di intermediazione ai sensi dell’art. 1453 c.c., con conseguente condanna della banca alla restituzione delle somme investite dall’attore. La somma da restituire, come determinata dalla CTU, ammonta a € 87.555,26, al netto degli importi percepiti dall’attore a titolo di dividendi.
In conclusione, il mancato rispetto degli obblighi di informazione e trasparenza da parte della banca, unitamente alla proposta di investimenti non adeguati al profilo di rischio del cliente, ha giustificato l’accoglimento della domanda attorea e la risoluzione del contratto. La banca è stata condannata a restituire le somme investite, mentre l’attore dovrà restituire i titoli acquistati.
La decisione del Tribunale di Bari si inserisce in un lungo filone di sentenze favorevoli agli investitori, confermando la crescente attenzione del sistema giudiziario verso la tutela dei risparmiatori danneggiati da pratiche scorrette e opache degli istituti bancari. Tuttavia, nonostante queste importanti vittorie in sede giudiziaria, resta il fatto che molti risparmiatori che non hanno intrapreso azioni legali dovranno convivere con le perdite subite.